Fare il discussionista in eterno porta ad essere stronzi esattamente come fare il decisionista in eterno, per cui meglio fare un po’ come gli pare, a Renzi, tanto starà sulle palle nell’uno o nell’altro senso. Mi riferisco ad un’intervista di qualche settimana fa a Repubblica nella quale il premier dice che «verrà il giorno in cui si potrà finalmente parlare delle responsabilità anche delle élite culturali nella crisi italiana: i politici hanno le loro colpe. Ma professori, editorialisti, opinionisti non possono ritenersi senza responsabilità». Ma la castagna scotta nel momento in cui aggiunge che sono finiti i tempi del “discussionismo”: scotta, cioè, l’autoritarismo e il populismo craxiano rivangato da Renzi.

L’unica costante del pensiero renziano di fronte all’autoritarismo craxiano, è nel mettersi allo stesso livello dell’élite intellettuale rispondendo per le rime senza fare prigionieri. È un errore, e molto probabilmente Renzi la pagherà cara esattamente come la pagò cara Craxi negli anni ’80. In un’epoca in cui un politico viene linciato mediaticamente se non riesce a raggiungere i risultati, mentre il silenzio è rumoroso se fa bene ma, tutt’al più, gli si evitano solo le critiche, anche Renzi viene accusato di decisionismo come fosse un vizio indicibile della cultura italiana. E in effetti lo è: da sempre il decisionismo è la bestia nera dell’intellettuale italiano, cresciuto a pane e autoritarismo credendo che il decisionismo rispecchi la volontà del politico di non ascoltarlo. Il decisionismo è lo specchietto per le allodole del politico di razza: decide cosa fare e risponde con i fatti alle domande e alle sollecitazioni degli intellettuali. Ma agli intellettuali non va bene, anche nel caso facesse miracoli, perché per loro conta solo se il politico li ascolta e li consulta continuamente. Nessun’altra prospettiva viene considerata corretta.

L’ennesima prova la dà Luca Ricolfi sulla Stampa quando scrive che l’emarginazione di tecnici ed esperti è un corollario del riaffermarsi del primato della politica. Tradotto: la colpa principale di Renzi è aver preso tanti voti, quindi è un populista. Ma il primato della politica, nel pensiero renziano, significa principalmente che le decisioni spettano alla classe politica, non agli intellettuali che a loro volta sapranno integrarsi solo se riescono ad uscire dal guscio irrealistico nel quale si sono rinchiusi per troppi anni. È impensabile che tecnici e teorici siano avversari del potere politico e che stiano sempre all’opposizione. Essere tecnici e teorici e intellettuali della politica è un valore aggiunto, ma se gli stessi tecnici e teorici continuano a fare gli intellettuali militanti col pretesto di difendere la Costituzione – ma da chi, poi? – continueranno ad avallare la degenerazione parlamentare di questi anni. Il loro valore aggiunto è riuscire a cambiare il processo decisionale dopo vent’anni di paralisi parlamentare. È difficile, in un paese con 60 milioni di commissari tecnici.