Le democrazie costituzionali ritengono che le elezioni valorizzano le libertà individuali degli elettori coniugando il diritto dei cittadini di partecipare alla vita politica del paese attraverso il voto a maggioranza, senza tener conto la diffusa e comprovata ignoranza degli stessi sui temi della consultazione. Nella pratica: più siamo, più saggiamente scegliamo. Ma nella realtà va diversamente: i voti non si contano più, si pesano.

Questo succede perché chi ci governa tende a credere che il popolo sia ansioso di partecipare alle decisioni cosiddette “democratiche”. In realtà è vero proprio il contrario perché chi sceglie dovrebbe essere proporzionalmente interessato sull’argomento o almeno pronto a documentarsi su qualsiasi questione importante per concorrere alla scelta migliore; ma, come notiamo ormai da anni, l’ultima durante il referendum sulle trivelle, pochissimi elettori hanno effettivamente una minima idea ragionata di cosa sta votando. Quello che i teorici della democrazia come forma di “intelligenza o saggezza collettiva” difendono come superiore, è ormai un sistema inefficace perché sia “intelligenza” che “saggezza” vanno bene nei piccoli gruppi ma peccano sul lato collettivo dei grandi numeri. Un esempio è il referendum sul Brexit. La scelta di demandare al “voto popolare” una così importante decisione economica e politica del paese, che rispecchia tra l’altro anche il futuro a medio termine dell’UK, è stato il fallimento più interessante e importante della democrazia: in Gran Bretagna ha votato la pancia e la demagogia, non la conoscenza.

Il voto popolare senza conoscenza ha portato al fallimento della democrazia per palese inefficacia, dando oltremodo visibilità, e quindi successivamente potere politico e decisionale, a quei movimenti e partiti populisti, protezionistici, xenofobi, razzisti e settari. Esattamente l’opposto di cosa vorrebbe la Democrazia. Il diritto al voto è sancito da tutte le democrazie del mondo, ma scindere una buona volta conoscenza e libertà non significa eliminare la democrazia bensì assoggettare l’elettore agli stessi elementi della democrazia: informarsi sui partiti, sul parlamento, sulle elezioni, sulla Costituzione e via dicendo, è sinonimo di un elettore informato che, pur soggetto ancora a sbagliare, è propenso a guardare le elezioni con un punto di vista critico dettato dal cervello e non dalla pancia. Si potrebbe pensare al solo voto degli informati, ma dubito che i nostri politici arrivino a tanto, oppure soppesare il diritto al voto in base alle conoscenze bilanciando i diritti politici tra sapere e libertà individuale. Insomma, non è sempre funzionale l’idea aristotelica che il governo dei molti è sempre superiore al governo dei pochi, perché la diversità cognitiva distribuita nella popolazione porta più probabilmente a prendere le decisioni sbagliate da parte degli eletti.

Leggendo la base del teorema di Condorcet – dove viene dimostrato teoricamente che se il 50 per cento dei decisori è in grado di scegliere correttamente, ci saranno maggiori probabilità di fare la scelta giusta se fossero ancora di più – penso ai guai che porterebbe anche un singolo caso contrario: e se il 50 per cento si sbagliasse? e se si sbagliasse perché scarsamente informato come accade oggi? Questo per dire che il fenomeno della saggezza popolare funziona solo nel caso di stime quantitative o di misurazioni (quanto dista Roma da Napoli?), mentre in questioni più complesse – come la conoscenza del voto o della Costituzione – prevale il bias dell’inesperienza cognitiva.

Servono nuove procedure e nuovi meccanismi che assicurino che le scelte degli elettori siano giudicate sulla base di fatti certi e non da errate interpretazioni; le riforme costituzionale, soprattutto, dovrebbero affrontare seriamente l’inclusione di processi decisionali indipendenti dal controllo politico, appoggiati e controllati da esperti con le necessarie competenze. Si tratta di un controllo fatto da pesi e contrappesi che garantisce un bias cognitivo ed emotivo al di fuori delle trappole populiste che solo la validità scientifica riesce a controllare, con dati e metodi in grado di verificare ed accertare gli effetti delle scelte politiche partendo dal suo punto di origine: il voto.