Se il ministro Toninelli è diventato “Toni Nulla” su Twitter, e Crozza lo ha immediatamente preso come bersaglio nel suo programma, un motivo c’è e non è un caso.

Ieri su Instagram ha pubblicato una foto seduto dal barbiere con una didascalia un po’, come dire, infelice: “Ho revocato la revoca della concessione al mio barbiere”. Toni Nulla ha pensato che valeva la pena ironizzare sulla revoca delle concessioni a Autostrade dopo la sciagura del Morandi. Il testo, dopo alcune decine di commenti sfottenti e incazzati, ovviamente è cambiato, ma internet ha la memoria lunga e non dimentica. Il giorno prima, da Vespa, ostentava sorrisi di plastica davanti al plastico del ponte in cui sono morte 43 persone.

Pur essendo un fedelissimo di Di Maio, Toni Nulla non ha nessuno che lo soccorre e lo dirige per correggere la sua immagine. Non si spiega altrimenti come possa fare tante gaffe in così poche settimane.

Il concentrato. Durante le trattative sul Contratto di Governo con la Lega, come si può dimenticare quel suo sguardo vacuo in cui in un post su Instagram scriveva: “Questa foto forse può dimostrare la massima concentrazione con cui stiamo affrontando questa importante missione”.

Il marinaio. A luglio, durante la brutta vicenda della Vos Thalassa, Toni ringraziò via Twitter la Diciotti per aver salvato l’equipaggio dell’incrociatore con a bordo dei migranti. Il Vos Thalassa non è un incrociatore ma un rimorchiatore.

Il perseguitato. Pochi giorni fa dice in Aula e sui social di aver “subìto pressioni interne ed esterne” da parte di Autostrade, ma i documenti pubblicati da Toninelli sono datati gennaio e marzo 2018, ovvero sei e tre mesi prima che ricevesse la nomina a ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti dal presidente Mattarella. Nella fattispecie, quei documenti sono stati inoltrati al Ministero quando era presieduto da Delrio e, in estrema sintesi, diffida il Ministero a non rendere pubblici alcune parti del contratto di concessione perché Autostrade è una società quotata in borsa e le parti finanziarie non si possono rendere pubbliche onde evitare il reato di aggiotaggio.

Lo stesso giorno scrive sul blog del suo partito che “la famiglia Benetton era ed è azionista di punta di Repubblica, L’Espresso e Il Messaggero“, poi si scopre che i Benetton non c’entrano proprio nulla con quei giornali.

Ora, io non mi creo problemi se un ex bibitaro del San Paolo e un ex sottotenente di complemento diventino deputati e poi ministri, però mi aspetto che studino bene il ruolo che devono interpretare e, se per diversi motivi non riescono, si facciano aiutare da chi ha più esperienza di loro. Nel caso di Di Maio e Toninelli, non solo i miei auspici vanno via col vento, ma addirittura usano ogni mattina la loro carica come un machete per andare all’assalto del Palazzo, dimenticandosi che in quel palazzo, oggi, stanno loro. Sarebbe il caso che qualcuno pensi seriamente a far rinsavire questi ragazzi. Ora, prima che sia troppo tardi.