Io sono uno di quelli che dieci anni fa ha dato una mano a fondare il Partito Democratico, uno di quelli che ha fortemente creduto nella rottamazione renziana dopo aver constatato che le classi dirigenti del centrosinistra avevano per anni anteposto la propria sopravvivenza a qualsiasi realtà, tenendo in vita i più artificiali e ingannevoli totem “della ditta”.

Sono uno di quelli che ha cercato di tenere in vita il proprio piccolo circolo trattenendo nel Pd tanta brava gente che negli anni si era smarrita dopo aver constatato che i “fuoriclasse delle quote” l’avevano soggiogato. E l’ho fatto senza cercare visibilità perché credevo nel progetto del Partito Democratico.

Poi due anni fa anch’io ho mollato. Ho mollato perché mi sentivo perseguitato da chi, sfruttando la disfatta elettorale di Bersani (e Renzi), ha trovato l’ennesimo carro da guidare. A quel punto la domanda che mi sono posto è stata: a che serve continuare?

In questi due anni sono stato zitto e non ho mai tirato fuori le cose che tutti pensano e si raccontano privatamente. In silenzio per non fare il gioco degli avversari, mi dicevo. In realtà, il silenzio era funzionale alla mia volontà di non tradire il patto ideologico che mi legava – e che mi lega ancora – con quei pochi che mi son rimasti amici, ma anche il “patto oscuro” col partito. Eh già, quel patto che ti lega indissolubilmente alla tua fede politica e fa sì che niente possa eliminare il vincolo di sangue tra te e quel che rimane di quella fede.

Ma un partito è fatto di persone, non (soltanto) di ideologie. La fede iniziale è diventata solo “buona fede”, nel migliore dei casi. Il tentativo di cambiare i connotati del Pd, e del centrosinistra, ha sbattuto il grugno con la malafede dei fuoriclasse delle quote. Una leadership che si è dimostrata tanto perdente quanto ingannevole; che non misura il danno potenziale ma lo modifica e lo rettifica a danno avvenuto senza mai voltarsi indietro a guardare le diverse alternative (perché ci sono, cristo santo!).

Grazie a loro non siamo più il partito che investe nei giovani e guarda ai bisogni dei cittadini, che sono le doti richieste ad una leadership in un’epoca come questa. Dovevamo occuparci del futuro con proposte per le nuove generazioni, invece siamo tutti Civati, che è il segno più angosciante ma anche più inevitabile della contemporaneità. Ma a quel punto, archiviate le speranze di rinascita di un paio di generazioni, quasi chiunque sarebbe andato bene come leader.

Ma con quella roba lì, fatta così, non si va da nessuna parte. Lo pensano persino loro. La parola d’ordine del Pd doveva essere “diversificazione dell’offerta”: la formula monomarca ha funzionato alla grande per un po’, poi ha fatto bancarotta, ora lo stesso gestore deve cambiare modello.

Adesso è urgente un’operazione politica che allarghi il consenso del centrosinistra anche dall’altra parte, perché tra astensione e voti grillini di sinistra il bacino elettorale è composto da persone per bene – magari un po’ radicali, certo -, consistente e forse decisivo, ma che per il momento non tornerebbe a votarci neanche se li salutassi a pugno chiuso. Non è un’operazione da fare cedendo sui contenuti, ma una bella, seria e tempestiva diversificazione delle facce che rappresentano il Pd. Senza paura di contaminazioni, magari chiedendo consiglio a qualche esperto del mestiere.

La parola d’ordine del Pd dovrebbe essere ancora una volta diversificazione dell’offerta, solo che siamo decisamente fuori tempo massimo per inaugurare questo esito: non avendo mai accettato il rovesciamento di ruoli, si capisce subito che a guidare un partito solo con l’accetta si finisce per darsela sui piedi. Capisco sia scocciante sapere che qualcuno lo preferisca, ma è una lezione di vita, un dato oggettivo sul quale lavorare per migliorare e concedere al Pd un paio di chances. O almeno una.

Dico queste cose nell’interesse del Pd, che considero comunque l’agente politico migliore che c’è su piazza, e nell’interesse del paese, per evitargli il grave errore di disfarsi definitivamente del centrosinistra. Sarò pure stato antipatico a più di qualcuno, ma lo sono stato in modo trasparente dicendo sempre in faccia quello che pensavo, mentre i talenti della politica che abbiamo avuto finora sono molto, ma molto più oscuri. E praticamente invisibili.

Ma ve lo dico chiaramente: non mi avrete.