Un’ulteriore forma di garanzia della Riforma costituzionale la troviamo negli articoli 134 e 135 che indicano le nuove modalità di elezione della Corte Costituzionale.

Articolo 1

L’articolo 1 comma 2 della nostra Costituzione recita così: “La sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”. Significa che la nostra non è un democrazia elettorale ma Costituzionale, acquisizione fondamentale per capire come i nostri Padri Costituenti intendevano il passaggio nel dopoguerra dopo le tragiche esperienze vissute con fascismo e nazismo. Il punto principale era, ed è tuttora, il rispetto delle minoranze e dei diritti fondamentali delle persone.

Si tramuta, quindi, in due distinti organi decisionali: l’indirizzo politico, dove le maggioranze elettorali adottano delle politiche congrue a portare avanti il loro programma di governo; l’indirizzo garantista, dunque indipendente e più tecnico rispetto al primo, con lo scopo di far rispettare a tutti i cittadini le regole costituzionali. Nel primo organo troviamo il Parlamento e il governo, organo diretto e indiretto dell’espressione e della sovranità popolare. L’organo garantista, invece, è formato dalla Corte Costituzionale e dalla Magistratura. C’è poi un organo intermedio, con funzioni di garanzia tra le due parti, che è il Presidente della Repubblica: organo politico che garantisce il rispetto della nostra Carta.

Inviolabilità dell’Articolo 1

Nessuna modifica della Costituzione può prescindere dall’articolo 1 per due motivi. Il primo: in quell’articolo sono espresse le norme organizzative su cui si basa l’intera nostra Costituzione, ed è inviolabile. Il secondo: modificando l’art. 1 si rende automaticamente incostituzionale qualsiasi variazione della Costituzione. La Riforma costituzionale che andremo ad approvare il 4 dicembre rafforza queste garanzie e ne introduce delle nuove.

Corte Costituzionale

La Riforma costituzionale rafforza l’indipendenza e il ruolo della Corte Costituzionale, mentre non tocca minimamente le norme sulla magistratura. L’articolo 135 sulla nomina dei Giudici viene modificato solamente nella forma di elezione: “La Corte costituzionale è composta da quindici giudici, dei quali un terzo nominati dal Presidente della Repubblica, un terzo dalle supreme magistrature ordinaria ed amministrative, tre dalla Camera dei deputati e due dal Senato della Repubblica”. Con il cambiamento delle funzioni del Senato, non sarà più il Parlamento in seduta comune a designare i cinque giudici ma ne verranno nominati tre dalla Camera e due dal Senato con le stesse identiche modalità di garanzia dell’articolo non riformato (due terzi nei primi tre scrutini, tre quinti in quelli successivi).

Resta quindi sostanzialmente immutata la “forma” con cui il Parlamento nomina i cinque giudici della Corte; come rimane invariata la norma con la quale gli altri due diversi poteri dello Stato – il Presidente della Repubblica e la magistratura – nominano i restanti dieci (cinque ciascuno). Cambia invece, come detto, il potere del Parlamento nella scelta dei giudici. La motivazione, pur normale, andrebbe spiegata con particolare attenzione.

Un Senato meno forte

La logica di un Senato con meno influenza rispetto alla Camera, non è ovviamente un buon motivo per snaturare il potere costituzionale della seconda Camera della Repubblica. La scelta di far decidere anche il Senato nella nomina di due giudici, rientra ampiamente nella prospettiva riformatoria su cui si basa l’intera norma: le autonomie locali sono espressione del territorio e quindi espressione dell’articolo 1 della Costituzione e di tutte le componenti della Repubblica specificatamente indicate nell’articolo 114.

La scelta non è casuale. L’art. 134 sancisce i conflitti di attribuzione tra i diversi enti, mentre l’art. 127 ne indica la legittimità costituzionale. Per cui, la possibilità che il Senato abbia voce in capitolo nella selezione dei giudici costituzionali rafforza maggiormente la garanzia di equilibrio nei rapporti tra Stato e regioni.

Ma l’art. 134 verrà modificato con la Riforma costituzionale, quindi, per i critici, questa garanzia decade.

Articolo 134

In realtà l’articolo 134 non verrà modificato ma verrà aggiunta un’ulteriore competenza, nel quinto comma: “La Corte costituzionale giudica altresì della legittimità costituzionale delle leggi che disciplinano l’elezione dei membri della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica, ai sensi dell’articolo 73, secondo comma”.

Questo comma rafforza la tesi garantista della Corte e smonta qualsiasi possibilità futura di una legge elettorale incostituzionale: l’art. 73 prevede il ricorso alla Corte di un quarto dei deputati o di un terzo dei senatori entro dieci giorni dall’approvazione della legge; la Corte deve poi pronunciarsi entro trenta giorni, e soltanto dopo la sentenza potrà essere promulgata la legge.

Il Porcellum, giusto per fare un esempio, fu dichiarato incostituzionale dopo nove anni e ben tre elezioni, compresa quella con cui è stato eletto l’attuale Parlamento; con il quinto comma dell’art. 134 non sarà più possibile approvare una nuova legge elettorale senza il “preventivo” parare di costituzionalità della Corte. È un’ulteriore forma di garanzia, a mio parere.