Hillary Clinton non ci sperava, ma gli oltraggi iper-maschilisti di Donald Trump le hanno dato una mano. Così, durante una fase della campagna elettorale in New Hampshire, si è sentita libera di bastonare l’impomatato miliardario sottolineando come lo scurrile dibattito con Megyn Kelly su FoxNews di settimana scorsa – “Si vedeva che le usciva il sangue dagli occhi, il sangue le usciva da ogni dove” alludendo al presunto ciclo mestruale della giornalista – sia preoccupante non tanto per le parole dell’eccentrico immobiliarista americano, quanto per le future politiche repubblicane verso le donne. La Clinton è saltata sul carro dei paladini dell’universo femminile puntando sulla macchina mediatica della propaganda repubblicana, ripudiando contemporaneamente colui che fino a pochi anni fa è stato amico e benefattore durante la presidenza di Bill Clinton. Una mossa tecnicamente perfetta per il proseguo della campagna, ma che probabilmente non lascerà inattivi i social media manager di entrambi i candidati.

Per Hillary “Megyn Kelly è una donna forte in grado di difendere se stessa da Donald Trump”, ma è comunque diventata l’eroina da difendere a tutti costi, specialmente dopo aver subito offese del tipo “grassa scrofa” o “animale disgustoso”. Trump è così, prendere o lasciare, anche invocando l’aiuto divino su Twitter per il trattamento “ingiusto” e “non professionale” che gli è stato riservato da Fox. Ma la Kelly ha la schiena dritta: non si è lasciata intimorire dal magnate, anzi, ha registrato la formula perfetta per mandarsi reciprocamente a quel paese: “agree to disagree”. Niente scuse, nessun ripensamento, nessun passo indietro. E scaltramente Hillary si è accodata alla polemica aizzando i cani contro il resto dei candidati repubblicani.

Quando uno dei loro candidati più importanti, uno più giovane, senatore della Florida, dice che non ci dovrebbero essere eccezioni nella legge sull’aborto per le vittime di uno stupro o di incesto, è la cosa più offensiva e preoccupante che puoi sentire da un candidato alla presidenza”. Il giovane senatore è, ovviamente, Marco Rubio: l’eterna promessa del GOP, nonché delfino del più celebre candidato presidente, Jeb Bush, ultimo discendente di una dinastia presidenziale di lungo corso (ps: il figlio di Jeb, George P., dall’anno scorso è land commissioner del Texas). Quindi l’attacco di Hillary Rodham Clinton non è un caso ma è ben mirato: far capire all’elettorato moderato che, sì, Trump è un giullare, ma i suoi eccessi populisti in realtà pescano nel ben più pericoloso bacino ideologico, quello in cui sguazzano anche gli altri candidati più posati e alfabetizzati. “Il linguaggio è più sgargiante e più offensivo, ma il pensiero, l’atteggiamento nei confronti delle donne è lo stesso. Soltanto ci viene consegnato con un packaging differente”. In pratica Trump viene definito come una sorta di bocca della verità repubblicana, il millennials di Santa Maria in Cosmedin.

Ma è tutto l’impianto accusatorio che gioca sul ruolo delle donne. Megyn Kelly interroga Scott Walker, altro candidato affine alle ideologie riportate sopra: “Vorrebbe davvero lasciare morire una madre invece di avere un aborto? E con l’83 per cento degli americani a favore dell’eccezione per il rischio di vita della madre, non è troppo fuori dal mainstream su questo tema per vincere l’elezione generale?”.

È su questi temi che Hillary Clinton ha impostato la sua campagna in Iowa e New Hampshire: la candidata delle donne, per le donne, con le donne. Tutti gli altri sono soltanto dei Trump un po’ meno casinisti.