Sono quindici anni che vivo a Cordenons e in quindici anni sulla riqualificazione dell’ex cotonificio Cantoni ne ho sentite tante. Ho letto articoli di giornali, note del CdA, comunicati dei soci pubblici, dei soci privati e di semplici cittadini speranzosi. Ho letto e studiato piani industriali, piani di rilancio, piani di riqualificazione. Tutti bellissimi ed entusiasmanti. Ed ogni volta, sistematicamente, tutto andava a rotoli perché qualcosa non funzionava o uno dei soci si tirava indietro. L’ultimo, in ordine di tempo, è ATER che vuole dismettere le proprie quote; ma prima c’era stata, per esempio, la provincia di Pordenone – che è socio pubblico della STU Makò S.p.A. assieme ad ATAP, i Comuni di Cordenons e Pordenone, l’ATER di Pordenone e la società privata Cantoni ITC – che aveva tirato il pacco a Cordenons riguardo i dieci milioni di euro da mettere a bilancio per portare l’Istituto d’arte Galvani, dalla sede fatiscente di Cordenons, al Makò.

Ogni volta pensavo – speravo! – che sarebbe stata la volta buona. Ma dato che non credo di essere fatalista più del necessario, ogni volta, prima di cascare tutto l’ambaradan, sapevo già che non sarebbe andato in porto. Non importava il motivo: succedeva perché qualcosa non poteva o non doveva funzionare. Era lo standard, per il vecchio cotonificio. E nulla è cambiato, in quindici anni. Sapevo, inconsciamente, che mancava qualcosa. Non so dire esattamente cosa, c’era sempre un angolo cieco che non faceva vedere al di là del normale raggio d’azione.

A novembre dell’anno scorso, Claudio Pedrotti è stato eletto presidente dell’ente provinciale di Pordenone. A marzo di quest’anno è scaduto il mandato del CdA della STU e sono stati nominati i nuovi consiglieri. A presiedere la Società di Trasformazione Urbana è stato designato Paolo Lunardelli, mio caro amico da moltissimi anni. Il cosa – quel “cosa” – stava prendendo forma.

La sera stessa Paolo mi chiama per informarmi della nomina, e, soprattutto, per mettermi al corrente dei suoi progetti. “Ci stai Giacomo?

In quel preciso momento mi si è accesa una lampadina: tutti i piani finora proposti non stavano in piedi perché non avevano la forza di reggersi da soli; non avevano le gambe, non avevano il respiro. Da più di un secolo il Makò vive a Cordenons, è parte di Cordenons, è nel Dna di Cordenons. La forza che è sempre mancata nei piani di rilancio è il respiro di Cordenons: il suo cuore, il battito cardiaco dei cordenonesi.

In quasi cent’anni di storia produttiva del cotonificio, ogni abitante di Cordenons ha lasciato un pezzo di cuore nel Makò. Chi ci ha lavorato – la mamma, la sorella, la zia o la cugina di ogni cordenonese – sa cosa significa il Makò per Cordenons. Il Makò è stato da sempre – sin dal 1903 – amore e odio, vita e morte, lavoro e famiglia. Ha dato lavoro a 1.500 persone. 1.500 famiglie che vivevano e soffrivano per e nel Makò.

Il Makò è stato il cuore di Cordenons e Cordenons è stata l’anima pulsante del Makò. Ecco cos’era il “cosa” che mancava.

Una riqualificazione dell’area dell’ex cotonificio non potrà mai partire se Cordenons non cede nuovamente il proprio cuore al progetto. Che non è un progetto industriale fine a se stesso. La STU rimane comunque una società che deve produrre utili. Ma il Makò non è la STU: il Makò siamo noi, siamo tutti noi. Il Makò è Cordenons: senza il nostro cuore il Makò non tornerà mai a vivere. Pensateci.