Inizialmente ha fatto girar le scatole anche a me la nomina di sette direttori di musei stranieri su venti: possibile che la patria mondiale dell’arte non riesca a sfornare una dozzina di manager capaci e competenti? Evidentemente il motivo era un altro.

Non sono un assiduo visitatore museale, però mi piace andare quando posso: l’anno scorso, ad esempio, sono stato all’Accademia di Venezia e alla Galleria Estense di Modena; quest’anno ho organizzato un tour nei principali luoghi culturali della mia città (nell’ambito delle Invasioni Digitali, ma tant’è) e sono stato al British Museum quattro volte negli ultimi dieci anni. Differenze: i due musei italiani erano mezzi vuoti, al British ho sempre dovuto far la fila per entrare; a parte qualche evento importante, i nostri musei non vengono valorizzati a dovere nell’arco dell’intero anno, mentre tutte le grandi gallerie internazionali hanno un afflusso continuo e costante di visitatori perché non è solo l’evento mondano che fa la differenza ma l’arte in continua evoluzione. Ed è così nella maggior parte dei musei: la Tate Modern e la National Gallery a Londra, l’isola dei Musei a Berlino, il Guggenheim a Bilbao, il Moma di New York. La lista è infinita.

Un bando europeo vuole che a partecipare siano professionisti europei: sarà mai possibile che partecipano, e vincano, solo professionisti italiani? Ovviamente no. Però gli italiani sono patriottici a convenienza: Riccardo Muti può dirigere i Berliner, Paola Antonelli può essere il direttore Ricerca e Sviluppo del Moma, Gabriele Finaldi può diventare il direttore della National Gallery, al maestro Claudio Abbado può essere affidata la direzione delle filarmoniche di Berlino e Vienna e a Fabiola Giannotti il CERN. Ma che ci sia un tedesco agli Uffizi? Giammai! Eppure non ricordo proteste in piazza quando il thailandese Thohir ha comprato l’Inter e il cinese Mister Bee il Milan. Ah già, il calcio vive una vita propria…

Il nostro problema è, come sempre, abituarci al merito: non è che se un tedesco dirigerà per tre anni un museo italiano vuol dire che abbiamo venduto gli Uffizi alla Germania, eh! È come dire che Zubin Mehta non può dirigere il San Carlo perché l’India non ha mai avuto importanti compositori di classica. Quindi se un’italiana viene chiamata dai cugini francesi a dirigere il Louvre, tutti a sperticarsi le mani. Se sette direttori di musei italiani su venti sono stranieri, ecco che si scatena la solita italietta provinciale che non ha ancora capito come gira il mondo nel 2015.

Mi meraviglio che Salvini non abbia ancora twittato una delle sue solite boiate quotidiane o che Grillo e la Meloni non abbiano dato la colpa a Bilderberg e ai Rettiliani. Sono in ferie per tutta la settimana, sono sicuro che non mi deluderanno.