C’è odore di elezioni anticipate a Palazzo Chigi. Lo si nota – ma è più una sensazione – da quando l’alito del consenso verso Renzi si è raffreddato. Il PdC è immediatamente corso ai ripari annunciando due progetti che andavano già spediti – Rai e riforma istituzionale – e mettendo in corsia di sorpasso una questione molto sensibile all’opinione pubblica: l’azzeramento delle tasse sulla prima casa e il rilancio del Sud. Palliativi, tutt’al più.

La sensazione è che Renzi senta il fiato sul collo della mission da raggiungere a tutti i costi. E ovviamente le responsabilità che essa comporta. L’urgenza di far tutto è ancora un suo pallino, ma a quanto è possibile leggere tra le righe dei suoi post (su Facebook e Twitter), sembra che il premier stia accarezzando l’idea di andare ad elezioni prima della scadenza naturale del suo mandato. Certo, è solo una suggestione fantasiosa in questo momento, non lo scopo principale da raggiungere a tutti i costi. Ma se ho capito qualcosa da quando lo seguo, la suggestione di giocarsi la partita elettorale tra l’estate del 2016 e la primavera del 2017 è qualcosa di fondato: a cosa serve la propaganda di queste ultime settimane se non a preparare il terreno a colpi di normative per la prima battaglia nazionale della sua vita politica?

Nei mesi scorsi il premier pensava che il tempo giusto per le elezioni fosse alla scadenza naturale del mandato, aldilà del consenso: governando bene, alla fine, i consensi crescono. Per mesi ha coltivato l’ideale della Prima Repubblica – il potere logora chi non ce l’ha – senza cambiare di una virgola l’esecutivo perché l’importante era portare a casa i risultati. Poi ha scoperto che il potere logora anche chi ce l’ha e quindi ha cambiato registro voltando pagina. Il consenso, da solo, non porta a nulla perché in pochi – sia nella Prima che in questa Seconda Repubblica – sono riusciti ad ottenere un consenso tale da venire rieletti pur non avendo governato egregiamente. Costoro, nel bene e nel male, sono leader.

L’appiglio renziano al momento è uno solo: prima si vota, più aumenteranno le difficoltà del centrodestra di trovare il bandolo della matassa attorno ad un unico candidato. Prima si vota e meno possibilità avrà il Movimento 5 Stelle di accrescere i consensi verso l’elettorato che conta – i moderati – che saranno certamente delusi, ma sono ancora ragionevoli su chi dovrà solcare le porte di Chigi. Non far riorganizzare il centrodestra è il solo ed unico problema del centrosinistra: con l’Italicum diventa pericolosissimo un avversario preparato al ballottaggio.

Le chiavi di lettura possono essere molteplici. La chiusura sulla riforma costituzionale può essere la prima, diciamo. Anche con delle piccole modifiche che non avrebbero sabotato la riforma, il testo sarebbe dovuto tornare al Senato per una nuova rilettura. Altri due o tre mesi ferma prima che possa ritornare a Montecitorio per l’approvazione definitiva. Situazione assolutamente ingestibile e non fattibile, secondo le tempistiche dell’esecutivo che vorrebbe portare la riforma a referendum tra l’inizio dell’estate e l’autunno del 2016. Guarda caso quando sarà utilizzabile anche l’Italicum, che entrerà in vigore a giugno di quell’anno.

Anche il rinnovo del (pessimo) CdA Rai è possibile leggerlo in quest’ottica: nessun ostruzionismo, ma Cencelli a tutti i costi pur di accelerare la riforma, e poi il CdA, facendo prevalere l’incompetenza della nuova dirigenza sull’indipendenza e sulla meritocrazia. Ovviamente è ancora presto per capire se tutto ciò fa parte di una strategia (è risaputo che Renzi detesti i talk-show e si auspica un’informazione Rai meno antagonista) nella quale è dominante l’equilibrio delle forze o l’informazione edificante. Ciò che appare abbastanza chiaro è l’approccio con cui Renzi sta cercando di cambiare il mood operativo della più grande emittente di emozioni nazional-popolari del dopoguerra italiano.

Tutto ruota attorno ad elezioni anticipate e a consensi perduti. Però una cosa va detta: la situazione è grave ma non è seria.