Una notizia dagli Stati Uniti mi riporta nelle nostre periferie, davanti al portone di casa nostra, per capirci. La notizia è che un bambino americano su trenta è un senzatetto. Sono due milioni e mezzo, più o meno quanti i profughi dalla Siria.

Profughi da tutto un altro genere di guerra, a differenza di quelle mediorientali con un ben preciso vincitore. Per chi si è goduto in tv The Wire, o la seconda serie di The Killing, non è certo una scoperta la condizione dei bambini che vivono negli scantinati, nelle case diroccate, nelle macchine o sotto i ponti esposti ad ogni genere di predatori. O predatori essi stessi.

È questo il destino che vogliamo infliggere ai minori di Tor Sapienza, o delle decine di analoghe situazioni? Perché il seienne rom rumeno – uguale a quello con le mani alzate con il soldato tedesco alle spalle del ghetto di Varsavia – che campa da qualche parte lungo la Tiburtina – l’acqua presa con le taniche e scaldata con il camping gaz, mangiando le merendine che gli regalano ai bar – è un essere umano che solo la pelle sottile della nostra accoglienza lo separa dal destino dei piccoli senzatetto americani.