Renzi, per alcuni, sarebbe l’uomo solo al comando. Ma se andassimo seriamente a controllare chi è – e chi è stato – il vero “uomo solo al comando” avremmo delle sgradite sorprese. Per essere solo al comando bisogna essere forti, brillanti ed efficaci. I tre esempi pratici sono Mussolini, Blair e De Gasperi. Ma Renzi non è forte come Mussolini; né brillante come Blair; né, tantomeno, efficace come De Gasperi. Il premier ha avuto l’acume politico di circondarsi di persone e collaboratori a lui vicini: l’indispensabile sottosegretario Graziano Del Rio, il ministro per le Riforme Maria Elena Boschi, il vicesegretario del PD Lorenzo Guerini.

Per cui Renzi non è da solo. Chi, nel breve e nell’antico periodo, gli rimprovera di essere “l’uomo solo al comando” non soltanto sbaglia, ma fa esattamente il gioco del premier. Le bellicose dichiarazioni servono per rafforzare la sua non granitica sicurezza, poiché consapevole, appunto, di essere meno al comando di quel che vorrebbe. Sia in Italia che in Europa.

In Italia. In casa gioca a demonizzare i colpevoli, che, paradossalmente, più vicini sono, meglio è. Quindi la minoranza PD e i non ancora rottamati. Sono principalmente questi due fronti che si dimostrano il bersaglio più facile. Nel ventennio precedente, l’accusa più tetra era di remare contro; oggi, nell’era dei tweet, oscilla dal gufare al rosicare. Nel frattempo, Renzi ostenta ottimismo e lancia speranze. Rimanendo sempre a sinistra, gli altri bersagli facili sono CGIL e FIOM. Camusso è stata liquidata – “disintermediata” nel linguaggio renziano – pertanto non più consultabile. Al contrario di Landini che, per via dell’improvvisa popolarità conseguente delle sue numerosissime apparizioni televisive, è assurto al ruolo di bersaglio privilegiato. In entrambi i casi si nota che non c’è più bisogno di parlare col più grande sindacato italiano: basta Renzi. Per questo motivo il premier cerca di portare all’angolo il segretario dei metalmeccanici prima che diventi la guida, il guru, di una lista Syriza/Podemos all’italiana. Anche qui, però, c’è da star tranquilli: la sinistra-sinistra italiana ha il dono dell’autodistruzione.

In Europa. Nel Vecchio Continente, Renzi non soltanto non comanda, ma è indispensabile che obbedisca, vista l’aurea euroscettica che gira nel Belpaese. L’Europa gli ha fatto capire che un aggiustamento delle politiche comunitarie è fattibile – e sensato -, ma è altrettanto opportuno che il Capo del Governo italiano faccia i compiti a casa applicandosi meglio e di più, come si diceva ai bambini a scuola. Questo succede perché il Sistema Italia non è ancora abbastanza flessibile per i principi fattuali europei. Renzi deve ottemperare quell’efficienza che chiede la UE proprio perché tutti i dati macro-economici ci dicono che l’Italia non cresce abbastanza – quasi niente – e non abbastanza in fretta. Ed è in questo contesto che l’uomo non solo e non al comando cerca di spostare l’attenzione su risultati – non ancora – entusiasmanti e su promesse – sempre più – eclatanti. L’insicurezza porta i proclami, non il contrario.

Naturalmente nessuna battaglia mediatica è necessaria a governare meglio il paese. Ma, come si sa, l’occhio vuole la sua parte e i titoli a otto colonne servono a sviare l’attenzione dai problemi più seri. Il primo anno di governo Renzi ci ha indicato la via. Riforme iniziate ma ancora non completate: riforme in cui non è consigliabile approfondire contenuti e qualità dei riordini delle provincie, della legge elettorale e del Senato. E la maniera beffarda è che tutto va bene, tutto fila liscio e i risultati iniziano a vedersi. Quel che manca è la costruzione di un progetto reale che porti ad un ampio consenso, segno distintivo dell’azione politica di coloro che una volta venivano considerati statisti. L’Italia, purtroppo, galleggia con quelle poche riforme non ancora completate che servono, realisticamente, a non farla affogare. Però non corriamo nessun rischio di deriva autoritaria. Ma solo perché ci mancano gli statisti.