Nell’era della nuova comunicazione politica fatta di tweet e status sui social network, la tecnica di mettere all’angolo l’avversario con la “marginalizzazione” è sicuramente la più utilizzata da tutti gli spin doctor del marketing politico. Molto spesso funziona, anche se a volte puerili e stilisticamente poco convincenti come si notava fino a qualche mese fa con le scie chimiche grilline o il grano saraceno democratico; altre volte il risultato è ben lontano dal ruolo che gli si voleva dare all’inizio.

Tuttavia, la marginalizzazione prende il sopravvento quando si porta eccessivamente all’angolo il consenso popolare dell’avversario con la retorica dell’estremismo piacione. Il risultato, ogni tanto, è l’esatto contrario di quello che si propongono i propositori. Attenzione, però: parlo di prendere il sopravvento, non che risulti vincente o definitivo. Faccio un singolo esempio: quando il M5S si è collocato in Europa a fianco degli estremisti di destra dell’UKIP di Nigel Farange, a sinistra si è apertamente dichiarato che Grillo condividesse le posizioni xenofobe e razziste dei partiti che si riconoscono in quell’area. In parte è anche vero: è ampiamente dimostrato che in seno al Movimento ci sono parecchi sostenitori che guardano con occhio benevolo la destra indipendentista e antieuro di Farange, o che non nascondono simpatie per il nazionalismo di Le Pen oppure, ancora peggio, hanno un passato nei fasci italiani. La realtà tuttavia è ben altra: al grillino acuto interessa esclusivamente far parte di una strategia che eviti di emarginarsi dall’agone politico che conta. Insomma, essere etichettati con termini più o meno dispregiativi come “xenofobi” o “anti europei”, “populisti” o semplicemente “di destra”, è il giusto palliativo per sentirsi parte importante del sistema per non disperdersi nell’irrilevanza che prelude l’oblio e la fine.

La premura con cui le etichette vengono respinte con forza dalla stragrande maggioranza degli attivisti, porta inoltre a far capire che il rischio di rimanere eterna minoranza, e appunto ridursi fino a scomparire, è la più grande paura dei 5Stelle. Va da sè che nella disputa di un particolare – come potrebbe essere il grano saraceno o la xenofobia antieuropea – non è sempre colui che dice la verità ad avere la meglio, più spesso risulta convincente chi la vende meglio, dimostrando che la forza del gruppo è la percezione positiva del leader dal di fuori. Per cui il punto, alla fine, rimane una questione d’immagine sulla percezione. Infine i simboli, le infografiche, le foto con didascalia e le faccette sciocche, per quanto subdoli, hanno un peso e un’influenza notevole sull’opinione pubblica.

I titoli dei giornali sulle terga dell’UKIP all’Inno alla gioia a Strasburgo, hanno etichettato anche i grillini come agitatori e irrispettosi, mettendoli sulla graticola e definendoli come il male assoluto e soprattutto, vedendo il gesto, senza un progetto vero di cambiamento. Ma gli eletti pentastellati non si sono affatto girati, non hanno dato le spalle come i loro colleghi di banco, non hanno dunque mancato di rispetto a nessuna istituzione. E allora perché i giornali hanno tanto gridato allo scandalo se i grillini non ne avevano nessuna colpa? Semplice: per comodità di lavoro è più logico sedere accanto ai colleghi dello stesso raggruppamento, il gesto sconsiderato dell’UKIP ha dato la peggiore immagine possibile del M5S perché entrambi iscritti all’Efdd.

L’eccessiva attenzione verso la comunicazione di massa, senza nessun filtro di controllo a monte, è spesso segno di povertà di contenuti. Lo ha dimostrato nel recente passato proprio il Movimento 5 Stelle, e lo ha ampiamente dimostrato il Partito Democratico con le segreterie precedenti. Quest’anno, con il superlavoro della PD Community, non soltanto il filtro del fact-checking è sempre in alto ai nostri cuori, ma persino i contenuti sono preventivamente controllati in modo da prevenire quelle evitabili castronerie che durante le campagne comunicative si fanno normalmente.

Prima o poi mi piacerebbe fare delle campagne elettorali con un serio e definitivo confronto sulle idee e sui contenuti, evitando, nei limiti del possibile, chi abbaia più forte. Anche perché, si sa, gli elettori moderati poi si spaventano.