Non avrei mai creduto che la ‘battaglia politica‘ venisse intesa così letteralmente come ieri sera a Montecitorio. Finora non era mai successo che un deputato impedisse fisicamente ad un collega di votare; che un gruppo parlamentare occupasse fisicamente alcune commissioni impedendone i lavori o che un deputato impedisse fisicamente ad un collega di rilasciare dichiarazioni alla stampa. Questo è ciò che è successo ieri sera, prima, durante e dopo il voto di fiducia alla Camera. Se questo è il nuovo corso dei Cinquestelle, preferisco di gran lunga il vecchio.

Il punto di non ritorno è stato – come scrivono oggi tutti i giornali – nella votazione al decreto Imu-Bankitalia perché – come dicono tutti i grillini – il governo ha privatizzato la Banca d’Italia, ha regalato soldi alle banche e messo nelle loro mani la nostra banca centrale. Ultima ma non meno importante, il governo ha utilizzato la tattica del decreto che mette insieme materie diverse per far passare l’abolizione dell’Imu. C’è molta carne sul fuoco, quindi meglio fare un po’ di spazio nella panza.

IL GOVERNO PRIVATIZZA LA BANCA D’ITALIA. No, non lo ha fatto semplicemente perché la Banca d’Italia è sempre stata privata sin dalla sua nascita, nel 1936, quando quattro grandi banche e istituti assicurativi privati l’hanno costituita. Da allora è – ed è rimasta tale anche col nuovo decreto approvato ieri – un Istituto di diritto pubblico e i soci, ossia le banche che hanno messo i soldi, non hanno alcun potere sul governo dell’istituto e sulla gestione delle attività istituzionali della Banca.

IL GOVERNO REGALA SOLDI ALLE BANCHE. No, falso. La riforma ridistribuisce i dividendi degli azionisti: nello statuto del ’36 (e mai aggiornato) si prevedeva che l’ammontare dei 300 milioni di Lire (156mila euro al cambio) versati inizialmente come capitale sociale venivano distribuiti come utili nell’ordine massimo del 4% delle riserve della Banca. L’ultimo dividendo distribuito ammontava a 70 milioni che su 156mila euro di capitale corrisponde circa al 4mila per cento di rendimento, quindi ben oltre il limite statutario. La riforma ha solamente rivalutato il capitale iniziale a 7,5 miliardi di euro, ma non un centesimo verrà dallo Stato perché separa il calcolo dei dividendi dalle riserve: agli azionisti verrà riconosciuto un rendimento non superiore al 6% del capitale investito – che non arriva dalle riserve, quindi – fino ad un tetto massimo di 450 milioni, ben al di sotto delle cifre raggiungibili oggi. Inoltre le banche dovranno abbattere le proprie quote fino ad un massimo del 3%; le quote in esubero dovranno essere messe in vendita sul libero mercato e potranno essere acquistate, oltre che da banche e assicurazioni, anche da Fondazioni ex bancarie e fondi pensione – anche straniere, ma a patto che abbiano sede legale in Italia.

IL GOVERNO METTE BANKITALIA NELLE MANI DELLE BANCHE. Assolutamente no. Il peso di ogni azionista non può superare il 3%; la Banca d’Italia rimane un Istituto di diritto pubblico e i soci di capitale non hanno alcun potere sulla governance e sulla gestione delle attività istituzionali della Banca. Senza la nuova riforma, Unicredit e Intesa San Paolo avrebbero continuato a detenere oltre il 50 per cento dei titoli; con la nuova riforma non potranno andare oltre il 3 e con la rivalutazione sostanzialmente si rafforza il sistema bancario senza spendere un centesimo di soldi pubblici. Resta inteso che rafforzare il patrimonio delle banche rafforza anche i risparmi dei cittadini in quanto si limita fortemente la possibilità di fallimento. Detta così, soprattutto oggi, sembra al limite del parossismo; se pensiamo però che la crisi, questa crisi, è partita dal fallimento di alcune tra le più importanti banche mondiali, il ragionamento del governo non è poi così campato in aria. Certo, rimangono molti punti oscuri che la riforma non tiene conto, ma nessuna legge è perfetta, tantomeno questa.

IL GOVERNO HA UTILIZZATO IL DECRETO PER METTERE INSIEME MATERIE DIVERSE COME IMU E BANCA D’ITALIA. Quasi vero. Nel senso che se errore c’è stato – al netto di ogni pensiero personale sull’Imu – è stato fatto a monte. La copertura per finanziare l’abolizione dell’Imu, è stata messa a carico del settore creditizio, finanziario e assicurativo (nonché della stessa Banca d’Italia) con l’aumento per questi soggetti degli acconti IRES e IRAP e con un’addizionale straordinaria alle aliquote IRES. Il totale dell’operazione era di 2,163 miliardi nel 2013 e 1,5 nel 2014. Per cui è stato chiesto agli istituti finanziari di farsi carico di uno sforzo necessario, ma nella richiesta è stato concesso il beneficio della rivalutazione delle azioni sulla Banca d’Italia. Pertanto le due cose sono direttamente collegate, e inoltre, dalla rivalutazione di Bankitalia, lo Stato incasserà circa un miliardo di introito fiscale versato direttamente dalle banche che ricapitalizzano.

Ora, sotto tutti gli aspetti l’approvazione della riforma poteva essere più trasparente e meno arzigogolata. Però la politica al momento è così. Ci stiamo attrezzando per migliorarla, certo, ma se alziamo il tasso alcolemico ogni qual volta si deve votare in Parlamento una proposta che non ci piace, uhm… non so, ma non credo sia una strada che ci porterà a qualcosa di utile.