Stavolta devo proprio staccarmi dalla solita contingenza. Devo perché l’Ucraina chiama, i morti di Kiev chiamano. E non chiamano solo me, chiamano tutti: l’Europa, l’America. Il mondo. Gloria a te, o secolo.

A riflettere su quanto vada lenta la storia, su quante illusioni ci facciamo di poterne dominare gli impulsi profondi, lì, ai confini tra i vecchi imperi zarista e austroungarico – come a quelli con la Serbia, o nei pezzi tagliati con le forbici da francesi e inglesi nell’impero ottomano da Damasco a Bagdad, da Beirut a Gerusalemme – sembra che quella guerra iniziata un secolo fa non sia in realtà mai finita. E del resto perché finire?

Attorno a Kiev, la battaglia tra occidente e oriente si giocava già nel 1200 tra tartari e slavi; nel 1300 tra lituani e russi. Poi tra gli svedesi di Carlo XII e Pietro il Grande. Perché stupirsi se oggi si gioca tra Obama, la Merkel e Putin. È una delle lezioni dolorose che dobbiamo apprendere. Dopo esserci gloriati, avere immaginato che il nostro fosse il secolo breve, che la storia fosse finita, che tutto fosse stato sistemato in modo razionale dopo l’89, che bastasse proclamare ovunque la nuova religione del consumo: dove c’è un McDonald non c’è mai stata una guerra.

A Kiev il McDonald sta a un chilometro da piazza Maidan.