Con un occhio alla crisi francese e un altro alla crisi ucraina, non posso sottrarmi da ciò che succede nella striscia di Gaza, in Siria, in Libia e in Iraq. Soprattutto in Iraq.

Leggendo i giornali italiani (qui Zucconi), pare che la strage dell’Isis verso la minoranza Yezidi in Iraq sia una diretta conseguenza dell’invasione americana nel paese che fu di Saddam. Ma mai diretta conseguenza fu più falsamente veritiera.

In undici anni di guerra al terrore, quante volte abbiamo sentito nominare gli Yezidi? quante volte i generali americani hanno tenuto una conferenza stampa parlando degli Yezidi? e quante volte la Nato, l’Onu o gli alleati occidentali? Poche. Quasi sconosciuti al grande pubblico perché non era prevalente alla guerra al terrore, gli Yezidi sono balzati prepotentemente alla cronaca mondana perché l’Isis – eccolo, il nome importante! – li sta sterminando al pari dei curdi. Ma anche gli Yezidi hanno una storia ricca di stermini e pulizia etnica, ed è proprio in questo contesto che il loro nome è stato, stranamente, scarsamente popolare.

Non se ne parla perché inizialmente gli americani li hanno salvati dalla pulizia etnica di Saddam: insieme ai curdi gli Yezidi sono stati i sostenitori più tenaci dell’intervento militare per rimuovere il loro carnefice, il Rais di Baghdad, e nel contempo i più leali alleati degli americani. Vivevano nelle montagne che i jihadisti Isis stanno mettendo a ferro e fuoco in questi giorni, le stesse montagne che l’amministrazione Bush sperava di replicare in tutto l’Iraq per minare l’uso del terrore che i sunniti applicavano con regolarità nei confronti delle minoranze. Se oggi l’Isis li sta nuovamente sterminando, è perché li ritiene dei traditori e perché, soprattutto, sono stati liberati dagli americani, il Grande Satana.

Nel 2006 Lawrence Kaplan scrisse per New Repubblic la storia di questa tribù che è stata negli anni sterminata, distrutta, salvata, liberata e poi nuovamente sterminata e distrutta. Leggetelo, e poi tornate ai giornali italiani.