La politica con tutti i suoi riflessi mi appassiona, non è un segreto: le alleanze, i leader, le leadership, le primarie. E le leggi elettorali. Quella appena approvata in direzione nazionale del Pd sembra una buona proposta. Certo, sempre di liste bloccate si tratta e senza preferenze. Ma io alle preferenze preferisco di gran lunga un listino bloccato in piccoli collegi dove i nomi dei candidati li ricordi a memoria perché son pochi.

Ne è passato di tempo da quando mi sono fatto prendere dalla passione per i sistemi elettorali, quando mi ero fatto convincere che il proporzionale era l’origine di tutti i nostri guai: l’origine della casta, della cricca, della corruzione. Il tempo in cui credevo che il maggioritario ci avrebbe salvati. Non ero mica il solo: chi, come me, ha superato i quaranta si ricorderà quella prima metà degli anni ’90. Poi la passione è scemata, perché mi bastava sapere che sarei andato a votare con una legge che non era malvagia e che la Consulta non aveva avuto nulla da obiettare. Quella legge elettorale l’hanno chiamata col nome di chi l’ha scritta dopo il referendum del ’93. Era maggioritaria con sprazzi di proporzionale, quasi come volevano gli italiani. Pensavo fosse una buona legge; non fantastica, certo, ma quando mai lo sono le leggi elettorali?

Quella riforma, quasi dieci anni fa, l’hanno abrogata per tornare al proporzionale con un premio di maggioranza smisurato. Tanto smisurato che la Consulta, solo poche settimane fa, l’ha definito ‘incostituzionale‘. Da allora, anzi prima, il Parlamento ha pensato di farne un’altra che dia spazio alle preferenze e che fosse senza premio di maggioranza. Ma la Corte, nella sentenza, non ha detto che le liste bloccate e il premio di maggioranza fossero incostituzionali. Quindi si è tornati alle liste bloccate e al premio di maggioranza. Ma meno listoni e meno premio.

Renzi ha costretto la direzione ad approvare una legge elettorale – perché è così, inutile girarci intorno – che lui stesso l’ha chiamata ‘Italicum‘. Evidentemente aveva timore che qualcuno – un Sartori qualunque, diciamo – gli desse un nome non proprio affine al pensiero che lo stesso segretario aveva in mente quando l’ha partorita. Cosa prevede l’Italicum è presto detto: doppio turno nel caso nessun partito riesca ad ottenere il 35% dei consensi, mini liste bloccate di cinque-sei candidati per circoscrizione, premio di maggioranza dal 53 al 55% massimo dei seggi per chi vince al primo o al secondo turno. La quota di sbarramento è stata fissata al 5% per i partiti in coalizione, l’8% per le forze che si presentano da sole e il 12% per le coalizioni.

Di fatto è un mezzo proporzionale, ma anche un mezzo Porcellum, un mezzo Mattarellum. In pratica un mezzo passo avanti. Attenti però che quel nome non porta bene. Ecco, di cosa ne pensa la politica non mi interessa, ora mi interessa più sapere cosa ne pensa il pensionato che guarda gli operai in strada o l’ambulante che vende i salumi al mercato il venerdì.

Diciamo la verità piuttosto: con lo spagnolo puro, il francese a doppio turno, l’americano presidenziale, il tedesco, l’inglese uninominale, il Mattarellum, il Porcellum o l’Italicum, non saremmo comunque in grado di distinguere le politiche adottate in base al sistema elettorale ed il successo di un governo dal tipo di coalizione che lo sostiene. E questo vale dal monopartito alla grande coalizione, in Italia come in Europa. Quindi tanto vale adottare una legge che dia la possibilità agli elettori, non dico di votare il proprio candidato perché ho già detto che le preferenze non mi ispirano, ma che almeno possano conoscere personalmente chi si presenta in Parlamento e le idee che ha per valorizzare il territorio. Che è quello che quasi settant’anni fa i nostri Padri Costituenti credevano importante. Sono un tipo che si accontenta di poco, io.