Tanta, forse troppa, euforia per l’accordo bancario Italia-Svizzera: con la fine del segreto bancario torneranno in Italia «miliardi di euro», ha detto Renzi. Forse cinque-sei. Ma per ora è un accesso parziale e su richiesta. L’accesso automatico sarà dal 2018. E lo scambio d’informazioni, che adesso è possibile, non tocca i movimenti anteriori al 2009, protetti dallo scudo fiscale.

Comunque, è una buona notizia, ammesso che poi questi miliardi si vedano tornare. Perché c’è anche l’ipotesi che non rientrino in Italia, ma slittino verso altri paradisi fiscali. O forse che siano già slittati. Ma anche se l’antico problema della trasparenza bancaria tra Svizzera e Italia fosse risolto, dovremmo rispondere a una domanda: perché siamo gli ultimi? Perché questo problema è rimasto in piedi per noi più a lungo che per gli altri?

L’ultima scossa al crollo di questo bunker della copertura bancaria l’ha data la pubblicazione della “lista Falciani”: Falciani è un impiegato bancario che lavorava in Svizzera, in una grande banca, e qui s’è copiato di nascosto gli elenchi dei grandi clienti europei, intestatari di enormi conti segreti, di somme nascoste in patria, possibile (ma non accertato, per ora) frutto di evasioni.

Falciani ha messo in vendita quella lista. Se uno Stato la voleva, pagava e aveva in mano un elenco prezioso di suoi contribuenti possibili grandi evasori. Deontologicamente un pessimo figuro, questo impiegato che tradisce la fiducia dell’Istituto nel quale lavora, e scappa all’estero con l’elenco dei clienti forse colpevoli verso le leggi delle loro nazioni.

Ma per gli Stati che hanno uno spasmodico bisogno di scoprire gli evasori, questo pessimo figuro è un angelo della Provvidenza. La Germania ha pagato subito, e ha avuto la lista. In Spagna, dove s’è rifugiato, Falciani è amatissimo dai partiti di sinistra, uno dei quali l’ha arruolato come consigliere fiscale. Ora questo sabotatore dell’evasione dichiara ai quattro venti che la lista segreta, con i nomi dei possibili evasori, lui l’aveva offerta anzitutto all’Italia, ma il governo italiano l’aveva rifiutata. Non è mai stata chiarita questa faccenda. Chi l’ha rifiutata? E perché? Come si giustifica? Evidentemente i grandi evasori, potenti economicamente, sono potenti anche politicamente.

La durata della loro evasione in Svizzera si spiega anche con l’interesse dei governi a lasciarli fare, o il non-interesse a perseguirli. Siccome non si poteva mostrare disinteresse, bisognava coprirlo col suo contrario. E allora ecco le infinite estenuanti trattative tra italiani e svizzeri per raggiungere la trasparenza dei depositi svizzeri, in modo che il fisco italiano potesse buttarci uno sguardo.

Prima d’ora non s’era mai raggiunto un risultato. E adesso che il risultato sembra raggiunto, scatta un allarme dal quale noi profani siamo sorpresi non poco: «Molte banche svizzere saranno costrette a chiudere». Ma se l’evasione è un illecito, vuol dire che quelle banche vivevano e prosperavano sull’illecito? Siamo nel campo dei soldi, e i soldi (non sempre, ma. non raramente) nascono e crescono in un terreno esterno o estraneo alla legalità.

Noi italiani siamo stupiti che i nostri eurodeputati guadagnino più dei colleghi di altre nazioni. Ma ci vien risposto che è legittimo. Che i nostri giudici costituzionali guadagnino molto più dei colleghi tedeschi. Ma è legittimo. Che ci siano funzionari che guadagnano il doppio del presidente della repubblica italiana (e del presidente degli Stati Uniti). Ma è legittimo. Che il divario tra la pensione minima e la massima percepite in Italia non sia da uno a dieci, come proponeva Adriano Olivetti dentro la sua azienda, ma da uno a centottanta.

Ma è legittimo. I nostri primi ministri hanno lanciato queste battaglie, ma poi le hanno abbandonate. Anche Renzi. Sono battaglie perdute in partenza o mai veramente combattute?

Ferdinando Camon sulle edizioni locali dei quotidiani del Gruppo Espresso