Di tanto in tanto sui social e sui blog assisto a violentissimi scambi – definiti opinioni dai diretti interessati – a proposito del costo umano della crisi. Parliamo di chi in questi lunghi anni si è tolto la vita, in Italia o in Grecia, per aver perso o non ritrovato il lavoro; o di commercianti e imprenditori portati al fallimento economico prima, esistenziale poi.

Dagli Stati Uniti ci arriva una indagine statistica-epidemiologica, firmata tra l’altro da Angus Deaton, vincitore dell’ultimo Nobel per l’economia, che tratteggia una vera e propria epidemia di suicidi e comportamenti suicidi, abuso letale di droghe e alcol, all’interno della maggioranza silenziosa bianca degli Stati Uniti: gli uomini tra i 45 e i 54 anni senza laurea. Sono numeri sconvolgenti che iniziano ad impennarsi alla fine del millennio per raggiungere un picco nell’ultimo anno esaminato, il 2013. Hanno lo stesso impatto dell’epidemia di Aids, perché se questi comportamenti avessero mantenuto il ritmo precedente ci sarebbero stati mezzo milione di morti in meno. Il paragone più verosimile è la fine della salute pubblica russa dopo il crollo dell’Urss: milioni di morti per stenti, fame e miseria. La lotta per la vita, purtroppo, sta davvero diventando troppo dura.